Breve Storia dell’Argentina
1930 – 1983
Il colpo di stato militare del 1930, con la prima rottura del sistema istituzionale, segna la svolta negativa nella storia argentina. Il fallimento dei radicali, al governo dal 1918, fu il fallimento della classe media nell’affermarsi come forza politica e il potere fu violentemente e illegalmente ripreso dalla vecchia oligarchia conservatrice che, ormai priva d’idee e di uomini, volle solo tentare di tornare a un impossibile statu quo antes. Il golpe segna anche la fine del modello economico agro esportatore che aveva creato l’Argentina della leggenda, sfidato Parigi con la stupenda Capitale, con il Colòn, i suoi palazzi e le Università, ma non aveva saputo distribuire terre e ricchezza, né creare uno stato efficiente. Dal 1930 fino al 1943 – la cosiddetta “ decade infame” , così chiamata per i brogli elettorali che mantennero al potere i conservatori – il modello economico agro esportatore viene progressivamente abbandonato dando inizio a una industria di “sostituzione d’importazioni”. Il nuovo modello industrializza il paese in modo malsano. La protezione, necessaria per una nascente industria, apre il cammino alla futura autarchia e i capitali stranieri che nel vecchio modello si dirigevano ai servizi sono investiti in industrie di beni di consumo che, garantite dalla proibizione di importare ciò che era prodotto in Argentina si sviluppano in modo non competitivo e speculativo.
Ormai decotta l’oligarchia terriera, i nuovi ricchi e il proletariato industriale portano al potere nel 1943 il peronismo e il suo modello economico corporativo, autarchico e ultranazionalista, che rimarrà al governo fino al 1955 condizionando poi per sempre la politica economica sociale del paese.
Inizia il gigantismo dello stato. La spesa pubblica assume dimensioni abnormi e non più finanziabili con le esportazioni agricole, il ricorso al credito estero per coprire i deficit aumentò l’indebitamento di otto volte in meno di dieci anni. L’industrializzazione aumenta velocemente ma sempre con eccessive protezioni. Lo stato diviene il Committente dei grandi imprenditori, molti dei quali italiani emigrati nel secondo dopo guerra.
Il governo imposto dal colpo di stato militare del 1955, la ”revoluciòn libertadora”, tentò eliminare quanto di sociale vi era stato nel peronismo e riportare ancora una volta indietro l’orologio della storia. Fino al 1976 si alternano governi civili, radicali e peronisti, e militari che accentuano sempre più il carattere autarchico della produzione e con il continuo ricorso della emissione monetaria danno inizio al primato della speculazione finanziaria sulla produzione avviando il processo inflazionario che porterà il paese al tracollo nel 1989.
L’ennesimo colpo di stato militare e la feroce repressione delle giunte militari ( 1976-1983 ) provocano un’ ulteriore violenta lacerazione nella società argentina fino alla fine del sogno europeista morto con tanti giovani argentini nelle sperdute isole Malvinas.
La speculazione finanziaria assume dimensioni mai riscontrate nella storia e diviene la principale fonte di reddito privata ed aziendale. Il ricorso ai finanziamenti esteri pubblici e privati porta il debito totale dai 7 miliardi di dollari del 1976 ai 57 del 1983 consegnando al governo dei radicali un paese in crisi economica, morale e di identità.
1983 – 1989
Alla fine del 1983 l’ Argentina vive la sua primavera. Le elezioni, contro tutte le previsioni, vengono vinte dal radicale Raul Alfonsion che aveva basato la sua campagna contro il patto militare – sindacale, il presunto accordo per assicurare la vittoria ai peronisti e la impunità ai militari. L’ Argentina sdegnata votò per il discorso duro di Alfonsìn e la sua promessa di trascinare sul banco degli imputati i militari golpisti, assassini e sconfitti nella guerra con l’Inghilterra.
L’eredità del regime militare era disastrosa, con le casse vuote il nuovo governo doveva far fronte a un debito estero di 60 miliardi di dollari ( 7 miliardi nel 1976 ! ) e a una spesa pubblica fuori controllo. La Banca Centrale dovette richiedere al sistema bancario mondiale quali fossero le posizioni debitorie sue e delle banche argentine, i militari infatti se ne erano andati bruciando le carte come gli sconfitti prima che arrivino i vincitori. Il prestigio dell’Argentina era ai minimi storici.
Il governo iniziò i processi ai militari e vi furono molte condanne. La relazione “ Nunca Mas” della commissione sui delitti dei militari presieduta da Ernesto Sabato si vendette come un best seller e il piano economico “Austral” del 1985 fu quanto di più intelligente l’Argentina avesse mai visto. L’età media del governo era di meno di quarant’anni ed il mondo si era innamorato di Alfonsìn che godette nei primi tre anni di governo di un appoggio popolare mai raggiunto da altri presidenti. Perché allora la crisi che del 1987 al 1989 mise in ginocchio il Paese con la iperinflazione e la dissoluzione del consenso che obbligarono Alfonsìn alla umiliante richiesta al vincitore Menem di farsi carico del potere prima del tempo? Vi è solo una risposta che ci aiuterà anche a capite il biennio radicale del 1999 – 2001. L’incapacità di assumere decisioni, di essere realmente audaci e di andare fino in fondo. Alfonsìn inizia tutto ma non finisce nulla. Processa i militari e condanna molti militari ma poi cede alle ignobili leggi del Punto final e de la Obediencia debida che offendono le coscienze. Vara il Plan Austral ma non riforma il sistema fiscale, propone privatizzazioni ma cede agli scioperi generali dei peronisti che lo tacciano – Menem compreso – di Vende Patria!
1989 – 1999 Il decennio menemista
Le elezioni del 1989 sono vinte da Carlos Menem, governatore della piccola provincia della Rioja.
L’inizio è incerto poi nel 1991 Menem inizia a regnare dimostrando di conoscere come pochi altri i meccanismi del potere.
Dal 1991 al 1994 il binomio Menem Cavallo – suo ministro della economia – opera in Argentina una rivoluzione copernicana. Il paese occidentale più statalizzato viene totalmente privatizzato, il più inflattivo mantiene la parità con il dollaro, il più protezionista si apre totalmente al mondo, il più regolato si semplifica.
Tutto diviene privato, con l’entusiastico consenso degli argentini che finalmente appagano la loro fame d’estero e di buoni servizi. Il PIL cresce molto, ma grazie ai servizi ed alla costruzione, l’industria si affossa.
Il problema militare viene liquidato con l’indulto che libera anche i pochi condannati e così Menem con le spalle coperte accorda con Alfonsin la riforma costituzionale che gli permette la rielezione trionfale nel 1995.
Il prezzo politico che Menem paga non è alto, qualche giudice della suprema corte ed il governo della Città di Buenos Aires che va al radicale Fernando De La Rua. L’Argentina invece comincia a pagare il costo del menemismo.
La parità cambiaria si basa sul divieto d’emissione. Il deficit pubblico che cresce sempre più viene quindi finanziato con indebitamento, il ricavato delle privatizzazioni non viene investito ma serve per tappare buchi di bilancio. I concessionari privati non pagano i canoni, investono solo una parte degli enormi profitti e cominciano ad esportare dividendi ed utili sotto varie forme.
L’industria nazionale è in ginocchio, tutto viene importato, dai libri ai capannoni prefabbricati dell’aeroporto di Ezeiza, dai cioccolatini alla pasta. L’Argentina soddisfa il suo orgoglio divenendo la città più cara del mondo occidentale e raggiungendo il primato del reddito pro capite.
Ma gli scricchiolii sono forti, la disoccupazione alimentata dalle privatizzazioni e dai fallimenti industriali cresce a dismisura. Il PIL cade in picchiata.
I flussi finanziari, attratti nel passato dagli alti interessi, cessano e invertono la tendenza. L’esportazione di valuta, incontrollata e incontrollabile assume proporzioni inquietanti. Menem insiste nella parità con il dollaro che strangola il paese. Gli argentini cominciano preoccuparsi e si accorgono che il futuro potrebbe riservare terribili sorprese. Nel 1999 decidono di cambiare ed eleggendo presidente Fernando De La Rua danno inizio senza saperlo alla tragedia.
1999 – 2002 maggio.
Alle elezioni dell’ottobre 1999 gli argentini eleggono presidente Fernando De La Rua, il politico preferito e più vezzeggiato dalla borghesia della potente Buenos Aires di cui era allora Sindaco, considerato un onesto amministratore, di buon senso seppur privo di fantasia: ma era proprio quello che il paese cercava : la normalità dopo decenni e decenni d’anormalità più o meno costituzionali, la sobrietà dopo i fasti di Meneme della sua corte. La vittoria di De La Rua e dell’Alianza, la coalizione che lo appoggia, è scontata da tempo e quindi si pensa che il governo partirà ben strutturato e con una politica decisa. Il paese è in crisi per gli eccessi e le debolezze culturali del menemismo ma si pensa che una politica sobria e decisa possa avviare finalmente un ciclo virtuoso.
Le indecisioni di De La Rua, che ha difficoltà a nominare ministri ed ambasciatori, paiono misteriose e nessuno capisce dove vuole condurre il Paese, poi purtroppo appare chiaro che non lo sa neppure lui. Non si perde una sola occasione per fare esattamente il contrario di ciò che dovrebbe : si aumentano, senza riscuoterle, le tasse quando bisognerebbe diminuirle e riscuoterle, si riducono gli stipendi pubblici quando forse bisognerebbe ridurre il personale e rendere efficiente quello in carica, l’indebitamento aumenta a dismisura senza che venga investito nulla. Tutto va nel calderone del Moloc del deficit pubblico e della parità con il dollaro.
Allo sbando De la Rua richiama Cavallo al ministero d’economia. E’ il colpo di grazia al sistema : la legge del deficit zero e l’ormai celeberrimo Corralito sacrificano il paese sull’altare della parità con il dollaro che strangola il paese.
Dopo di che, Natale 2001, la tragedia, la borghesia, danati al rischio della proletarizzazione, scende in piazza, come può, con le pentole ed i bambini, qualche facinoroso s’intruppa e la polizia spara .I morti sono decine.
De La Rua scappa con l’elicottero e torna all’alba alla Casa Rosada per portare via carte ed oggetti personali. Poi sparisce nella sua villa di campagna.
Il presidente del senato Ramón Puerta assume la presidenza provvisoria , le camere riunite eleggono presidente per 90 giorni il governatore di San Luis, una specie di damerino dalla reputazione non proprio trasparente che annuncia il default come un gol di Maradona all’Inghilterra tra gli applausi dei i deputati. Dura dieci giorni, poi scappa pure lui. Finalmente il parlamento capisce che il dramma è ormai in atto e può portare alla rottura del sistema ed elegge* l’unica persona che possa fermare una rivolta ormai alle porte, il Senatore Eduardo Duhalde.
*La costituzione argentina e la legge elettorale prevedono che in caso di dimissioni, o di impedimento, del presidente in carica, in assenza di un vicepresidente si proceda nel seguente modo :
a) elezioni nel caso sia trascorsa meno della metà del mandato di quattro anni.
b) Nomina di un successore ( scelto tra governatori e parlamentari ), con scadenza o che termini il mandato, da parte delle camere riunite.
Breve storia dell’ Argentina 1930-2002. Conclusione.
Dopo la carrellata sulla storia argentina (1930 – 2002) tentiamo di rispondere alla domanda: qual’è il male oscuro dell’Argentina e perché non è il Paese che le sue risorse umane e materiali imporrebbero?
Tutte le nazioni hanno attraversato nella loro storia tappe di autoreferenza, necessarie per la formazione dell’identità, ma che quando si prolungano troppo nel tempo come nel caso della Argentina, si può trasformare in autismo o ripiegamento, patologico, su se stessi, estraniandola di fatto dal contesto economico sociale cui apparterrebbe per cultura e tradizione,
L’inizio, come visto, non fu così. Le generazioni che crearono l’Argentina erano capeggiate da uomini di grande apertura internazionale. Alberdi, Sarmento, Pellegrini vollero integrare l’Argentina al mondo occidentale, sapendo che lì era il suo futuro, aprendo le porte alla immigrazione fisica, economica e culturale.
Apertura che avrebbe potuto essere coronata da definitivo successo negli anni trenta dalla firma con la Gran Bretagna del patto Roca-Ruciman, che imponendo un intercambio commerciale e finanziario forzoso avrebbe inserito, anche se un po’ brutalmente, il paese nell’impero britannico e quindi nel mondo.
Invece un nazionalismo autoreferente s’ impadronì del Paese che imboccò la strada dell’autarchia, del corporativismo e dello statalismo spinto alle estreme conseguenze. Il tutto finanziato dal latifondo “granaio del mondo”.
L’autismo ormai latente, esplose quando nel 1982 l’ Argentina dei generali decise di sfidare il mondo per il possesso della isole Malvinas, e lo ritroviamo ai nostri giorni negli applausi da stadio con cui il parlamento e purtroppo tanta parte degli argentini, accolsero a fine dicembre 2001, l’ annuncio di un presidente provvisorio che l’ Argentina sospendeva i pagamenti del debito ribadendo un delirio di isolamento che prima di essere economico è psicologico..
Il male oscuro della crisi argentina è il suo autismo, il non aver mai di fatto voluto integrarsi ad un mondo occidentale che la affascina eppure respinge, innamorata come Narciso di se stessa. L’autistico non ha o non vuole aver bisogno degli altri, ma forse, poiché di lui non sappiamo nulla, ha solo paura di non reggere il confronto e preferisce ignorare l’ appassionata esortazione del filosofo spagnolo Ortega y Gasset “ Argentinos, a las cosas “ o “ Argentini, accettate la realtà del mondo” senza la quale non c’è base per un buon futuro.
2003 – 2012
La presidenza di Eduardo Duhalde traghetta abilmente il paese alle elezioni Presidenziali del 2003 – scadenza naturale del mandato del dimesso De La Rua – .
Due sono i candidati presidenziabili, ambedue peronisti, Carlos Menem – che tenta la tripletta – e Nestor Kirchner semi sconosciuto Governatore della Provìncia di Santa Cruz. Il primo turno è vinto da Menem con circa il 27% su Kirchner al 23% . Menem certo di perdere il ballottaggio vi rinuncia e NK diviene presidente con il più basso numero di suffragi della storia argentina e non solo.
La sua presidenza inizia con una grande determinazione , mette in angolo i militari, mantiene i sussidi popolari stabiliti da Duhalde e concentra molto potere. Il “cielo” lo aiuta con raccolti record e prezzi dei cereali e della soia alle stelle. Kirchner riesce ha rinegoziare il debito andato in default e salda cash undici miliardi di dollari al FMI. La rinegoziazione crea tensioni con l’Italia massima detentrice di titoli argentini
Il paese si ricompatta dietro una sua popolarità crescente coadiuvato dalla moglie Cristina Fernandez senatrice e futura presidente.
Nel 2007 Kirchner non si ricandida – preservandosi per il 2011 – e la moglie CFK diviene presidente anche se i consensi popolari soprattutto al legislativo diminuiscono e appaiono con forza sulla scena politica due attori di grande importanza Mauricio Macri e Daniel Scioli rispettivamente eletti Jefe de Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires e Governatore della provincia di Buenos Aires.
I prezzi della soia si mantengono in crescita e l’Argentina a sua volta cresce a ritmi asiatici e rinegozia il debito scaduto per la parte non “chiusa” nella precedente tornata.
Nel 2010 Kirchner muore improvvisamente e la moglie Cristina si ricandida alle elezioni del 2011 che vince comodamente come Macri e Scioli in Città e Provincia di Buenos Aires.
La politica di CFK si estremizza rispetto a quella del marito, aggressiva ma sostanzialmente moderata, e stringe alleanza con la Republica Bolivariana de Venezuela e mantiene l’apertura a Cuba e recentemente all’Iran.
Giorgio De Lorenzi